Vaccini ma anche la ventilazione dei luoghi chiusi. Così batteremo il Covid
Cultura e Società

Vaccini ma anche la ventilazione dei luoghi chiusi. Così batteremo il Covid

di Silvia Renda

“Per rientrare nelle scuole, negli uffici, nei ristoranti o nei teatri è necessaria la gestione del rischio, con dinamiche che sono anche ingegneristiche, non solo mediche”. A un anno dallo scoppio della pandemia, il vaccino appare come la via maestra per contenerla, ma la lotta contro il covid non si può condurre solo negli ospedali e nei laboratori. I contagi avvengono nella quasi totalità all’interno di ambienti chiusi, l’aria che lì ci circonda è il canale utilizzato dal virus per propagarsi, il controllo di quell’aria – da affidare agli ingeneri che la studiano – può riportarci alla normalità così come la intendevamo. “Deve cambiare l’approccio sugli ambienti chiusi. Non possiamo delegare la responsabilità a chi indossa le mascherine, ma a chi si occupa della ventilazione in quell’ambiente. Agire adesso significa anche prevenire pandemie future” sostiene ad Huffpost l’ingegnere Giorgio Buonanno, promotore della lettera firmata da 239 scienziati e diretta all’Oms in cui si invitava l’Organizzazione a non sottovalutare la trasmissione aerea.

Partiamo da quest’ultimo punto. All’inizio si diceva che il virus usasse usasse due canali principali di trasmissione: una riguarda i droplets, le goccioline grosse che escono dalla bocca e cadono per gravità. Il secondo riguarda la trasmissione per superficie. “È una visione 800esca” dice Buonanno ad Huffpost, “legata a studi vecchi e in parte con conclusioni errate. Non sono i canali prioritari. La via dominante per la trasmissione è l’aerosol, le goccioline piccole che non si vedevano alla fine dell’800 che escono dalla bocca e che trasportano il virus”.

In quest’ottica, l’ingegneria – ossia chi studia l’aerosol, la qualità dell’aria, gli impianti – potrebbe avere un ruolo determinante: “Il problema del contagio potrebbe essere risolto dagli ingegneri, perché conoscono il comportamento delle goccioline nell’aria, sanno come togliere l’aria ‘sporca’ del virus dall’ambiente”. Come, di preciso? Ci sono diversi step per intervenire, spiega Buonanno. Innanzitutto bisogna considerare che lo stesso soggetto infetto in un ambiente chiuso può produrre emissioni diverse. Immaginiamo che il virus si propaghi come il fumo di una candela. Se il soggetto infetto parla ad alta voce è come se accendesse 100 candele, se parla normalmente 10, se respira una candela. L’intervento principe riguarda la ventilazione. Ventilare significa prendere l’aria dall’interno e portarla verso l’esterno. In un ambiente chiuso, se l’aria non ricambia, il fumo si accumula.

Come si fa a ventilare?

Due sono le strade da percorrere: la ventilazione meccanica controllata, che implica l’utilizzo di impianti costosi. Il secondo metodo, economico, è aprire le finestre. In questo secondo scenario sorgono comunque problemi: “Non so quanto devo tenere aperte le finestre, potrei farlo troppo o troppo poco; ho dei costi energetici enormi, perché d’inverno significa far entrare aria fredda e in qualche modo poi dovrò riscaldare, d’estate il contrario”. La terza via, un po’ più economica degli impianti, è mettere i cosiddetti purificatori d’aria: sistemi che costano intorno ai mille euro.

Come avrebbe affrontato il problema del rientro nelle scuole un ingegnere?

“Innanzitutto noi sappiamo quanto inquinante esce dalla candela” spiega Buonanno, “possiamo quindi togliere l’inquinante gestendo il sistema di ventilazione”. Mettendo un impianto di ventilazione controllata il costo per la classe si aggirerebbe intorno ai 5mila euro. È alto, ma lo stesso livello di rischio si raggiungerebbe facendo utilizzare a tutti i ragazzi presenti in classe filtri facciali ffp2: 200 giorni, per 25 ragazzi, la somma da elargire sarebbe quasi il doppio per le mascherine rispetto a quella per l’impianto, che avrebbe inoltre il vantaggio di non essere una protezione usa e getta, ma si potrà utilizzare anche l’anno successivo. Stessa logica può essere applicata per il purificatore. Il livello di rischio è un po’ più alto, come se tutti gli studenti presenti nell’ipotetica classe indossassero mascherine chirurgiche. Per il purificatore le cifre si aggirano intorno ai mille euro, per mascherine che coprano l’anno, intorno ai 2500 euro. “Ancora una volta da un parte c’è un investimento – l’anno successivo si avrebbe un ambiente controllato e sicuro – dall’altro un costo puro”. C’è poi una terza via, ancora più semplice: “Noi emettiamo oltre alle goccioline, anche la Co2 quando respiriamo, basterebbe comprare un sensore di Co2 (costo sui 100 euro) metterlo in una classe e quando si superano i valori di alert si apre da finestra, da richiudere quando si riabbassano. È un modo di gestire il rischio, senza andare alla cieca, mettendo in sicurezza gli ambienti chiusi”.

Può la ventilazione bastare a tornare a vivere i luoghi chiusi come un tempo?

Immaginiamo un ristorante com’era nei tempi prepandemia, con 100 persone all’interno. “Se una persona infetta entrasse oggi con quell’affollamento, l’Rt sarebbe superiore a 6 con la ventilazione attuale” dice l’inegnere Buonanno “Aumentare la ventilazione non può bastare a mettere in sicurezza l’ambiente, con gli stessi affollamenti di un tempo: sarebbe estremamente costoso, non sostenibile”. Viene però in aiuto la vaccinazione: “Se raggiungo un livello di immunizzazione del 70%, di quelle 100 persone solo 30 sarebbero suscettibili: quel locale non sarebbe al sicuro con il vecchio stile di vita. Associando la ventilazione, che sarebbe a questo punto più gestibile perché necessiterebbe di meno ricambi, potremmo tornare a vivere i luoghi chiusi come un tempo”.

 https://www.huffingtonpost.it/entry/il-mondo-post-vaccino-come-puo-lingegneria-combattere-il-covid_it_606ed8aac5b6c70eccaeb9c6?utm_source=Facebook&ncid=fcbklnkithpmg00000001&utm_medium=Social&ref=fbph&utm_campaign=it_main&fbclid=IwAR3k5-SHQUOS-l76eFB5reAx6IL8tZsnlKMxCG-OVur0cS8ryq7YSVAscoA

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