Storie e Socialismo: Giuseppe Ferrari, la via della rivoluzione
Giuseppe Ferrari, filosofo della rivoluzione, filosofo del federalismo, filosofo delle antinomie, annoverato tra i primi socialisti italiani nacque a Milano il 7 marzo 1811; fu deputato della Sinistra nel Parlamento italiano per sei legislature dal 1860 al 1876 e senatore del Regno dal 15 maggio al 2 luglio 1876, data della sua morte.
Secondo il filosofo, la rivoluzione francese è un fenomeno incompleto ed è compito della filosofia positivistica farla giungere a conclusione; è questo quella che l’autore definisce l’epoca della rivoluzione. Tale periodo viene dopo l’epoca della religione e della metafisica sostanziandosi in quella che Ferrari definisce l’epoca della scienza, in cui la rivoluzione ha portato la libertà dei culti ma che deve essere superata dalla soppressione delle chiese. La rivoluzione francese ha voluto la libertà per il ricco e per il povero, ma è ovvio che essendo il ricco più forte, opprime e schiaccia il povero, di conseguenza solo la strada del socialismo potrà portare una trasformazione economica della società e una diversa distribuzione della ricchezza.
Effettivamente spiega il filosofo la rivoluzione ha sì strappato il potere dalle mani della nobiltà ma invece di traslarlo naturalmente al popolo oppresso l’ha messo nelle mani della classe privilegiata:la borghesia; da qui la sua diffidenza verso il riformismo italiano esposto in un suo famoso scritto del 1848 “La rivoluzione e le riforme in Italia”, in cui asserisce:
“L’Italia vuole uscire dal sonno secolare che l’opprime. Due vie le si offrono dinnanzi: la via delle riforme e la via della rivoluzione; conduce la prima a miglioramenti amministrativi e al benessere materiale, conduce la seconda alla libertà.(….) Le riforme rafforzano l’assolutismo e lo lasciano arbitro delle sorti della Penisola. La rivoluzione spezza il giogo dell’autorità e affida l’avvenire dell’Italia al genio italiano”.