Politica

Politica e Partiti: I conti con le correnti

Di Fausto Anderlini

Dal Pci ai Ds

Nel Pci le ‘correnti’ erano ‘tendenze’, cioè articolazioni di una comune ideologia. Il partito si governava dal ‘centro’, che era la sintesi mediana delle due tendenze laterali: quella radicale e più marcatamente identitaria e quella moderata e pragmatica. Gli esponenti delle sensibilità agli antipodi non erano scartati o isolati ma facevano parte integrante della coalizione dominante, cioè del ‘gruppo dirigente’. Il partito era intrinsecamente inclusivo. Nessuno era messo ai margini o fatto segno di una ostilità esistenziale in quanto interprete di una ‘tendenza’, a meno non andasse contro le regole del ‘centralismo democratico’ prefigurando l’eventualità di una ‘scissione’ (come accadde nel caso del gruppo del Manifesto). A garantire l’unità del partito, peraltro, non era solo il suo ecumenismo ideologico, ma la stessa funzione di integrazione sociale che si esplicava attraverso l’organizzazione degli iscritti. Nelle cellule di base, cioè nelle sezioni, vigeva un afflato comunitario e proselitista per il quale le differenziazioni politiche erano mal sopportate. In un partito di massa socialmente radicato l’animosità correntizia costituisce un intralcio per la sua stessa esistenza. Mina la coesione e svilisce il ruolo degli aderenti. Paradossalmente fu proprio Cossutta, il dirigente che aveva gestito la radiazione di Magri, Rossanda e compagnia, ad organizzare una ‘frazione’ (molto più di una tendenzà, ma anche di una corrente) dopo lo strappo definitivo con l’URSS di Berlinguer. Uno scisma nel nome dell’ortodossia poi conclusosi con la tumultuosa transizione dal Pci al Pds. In sintesi le ‘tendenze’ erano molto meno di correnti, e come tali, in certo senso, innocue, ma in compenso, se non sottoposte a una continua mediazione, potevano evolvere in qualcosa di più cioè in frazioni. In un partito ideologico è la stessa necessaria ortodossia ‘centrista’ a porre l’eventualità dello scisma. La fine del Pci fu sancita da uno scisma da sè del gruppo dirigente e in fondo non aveva torto la minoranza, trasformatasi da ‘tendenza’ a custode dell’ortodossia con un salto mortale, quando accusava i fautori della ‘svolta’ di praticare una scissione di maggioranza. Paradossi.

Il Pds, poi Ds, fu un interregno. Dismessa la natura ideologica del partito le ‘tendenze’ si organizzarono in classiche correnti, anche se, persistendo una base attiva di iscritti e un corpo funzionariale residuati dal Pci, diversi aspetti del vecchio modello unitarista rimasero in funzione. Di fatto il correntismo rimase una prerogativa dei gruppi dirigenti apicali, senza investire più di tanto la base degli iscritti e dei quadri intermedi.

Lo strascico dell’unitarismo

[Proprio questo ‘unitarismo’ inscritto nell’infrastruttura della militanza di base e persistente ancora nel Pd, per sommo paradosso fu l’arma malignamente utilizzata da Renzi per liberare il Pd, una volta per tutte, dei residui storico-ideologici e, con essi, della stessa base militante. Molti iscritti, pur essendosi opposti alla scalata di Renzi, finirono per adeguarsi alla sua leadership sotto il riflesso condizionato del centralismo democratico, ovvero della legittima primazia della nuova segreteria. Essi avevano ancora a mente il modo di dire con cui ogni nuovo segretario federale si presentava all’assemblea congressuale degli elettori: “Adesso che il congresso è finito, ciascuno riponga la maglietta nell’armadio. Perchè dobbiamo marciare tutti assieme”.]

Endiadi

Più nel dettaglio uno degli effetti perversi più clamorosi dell’ibridus del Pds fu che mentre le due antiche ‘tendenze’ si trasfigurarono come correnti manifeste (il migliorismo di tradizione amendoliana e la sinistra di ispirazione ingraiana) il centro del partito si scisse a sua volta in due opposti e irriducibili sino all’inimicizia sistemi ideologici e di potere: occhettiani, poi sostituiti dai veltroniani, contro dalemiani. Due correnti centrali organizzate in fazioni ma con una anomala contrapposizione con esiti poi devastanti: il dalemismo perseguendo una centralità di tipo classico, ovvero socialdemocratica, cioè come mediazione fra le tendenze, il veltronismo rivolto invece a risolvere altrove la posta centrale, cioè verso una radicale riconfigurazione liberal-democratica di forma politica.

Psi e Dc

Furono due casi da manuale di correntismo: uno degenerato, l’altro quasi perfetto. Nel Psi la tradizionale animosità delle correnti ideologiche e programmatiche (aspetto connaturato al carattere lasco e ibrido della sua forma istituzionale, insieme partito di notabili e di correnti ideologiche, ma anche di integrazione sociale, ovvero con una base militante sebbene via via più scolorita ed esangue) finì per incrociarsi con una vastissima gestione di governo, al centro e in periferia. Sicchè le correnti divennero funzioni del sotto-governo, finalizzandosi alla mera distribuzione degli incarichi e sganciandosi completamente dai referenti sociali. La degenerazione giunse al punto di snaturare la stessa base degli iscritti. Non più iscritti al partito, ma alle correnti e ai loro capibastone, con ogni genere di artifizio e falsificazione. Craxi ereditò un partito ormai allo stato larvale e lo raddrizzò all’insegna di un nuovo centralismo leaderistico. Le correnti furono messe sotto controllo e divennero modi diversi d’essere craxiani. Tutte destinate a finire inesorabilmente nel nulla una volta decaduto Craxi.

Nella Dc le correnti, molte e ramificate, sono state sin da subito una articolazione della distribuzione di potere nell’ambito dello Stato. Da questo punto di vista non si può parlare di degenerazione essendo il correntismo Dc un tratto costitutivo originario del partito-stato. Del quale le correnti hanno semmai costituito la parte più dinamica e vitale. Aggregate con vaste clientele attorno a capi facenti parte di una oligarchia intollerante a qualsivoglia forma di principato e di cesarismo. Le correnti non erano infatti solo camarille in lotta per spartirsi il bottino ma centri di mediazione e promozione di interessi sociali e territoriali. Non erano appese al potere come mere fazioni di vertice, ma affondate (anche troppo) nella società. In una ideologia a sfondo interclassista facevano da mastice fra la società e lo Stato, le periferie e il centro. La Dc faceva da terminale negoziale di un vasto mondo associativo corporativizzato, pubblico, privato e persino illegale: dalla Cisl alla Coldiretti, dall’azione cattolica alle casse rurali e alle banche locali, dalla Confindustria all’industria di Stato, dalle Camere di commercio alle organizzazioni criminali socialmente radicate…..

Lo strambo caso del Pd.

Essendo improponibile l’ibrido del Pds avrebbe potuto evolvere come la Dc, cioè l’unico caso virtuoso di pluralismo correntizio. Pur essendo un comunista impenitente devo ammettere, analiticamente, che questa era una possibilità realistica e persino non detestabile. Senonchè il Pd ha preso le mosse proprio con l’azione congiunta delle due componenti più anomale e disarticolanti delle due scuole politiche post-comunista e cattolica, ovvero il veltronismo e il prodismo. Il direttismo delle primarie e l’investitura diretta di leadership e premiership è quanto di più lontano si possa immaginare dalla tradizione oligarchico federativa e dalla consociazione correntizia democristiane. Sedimentazioni e derivazioni del passato e innovazioni direttistiche plebiscitarie hanno finito per fondersi in un composto instabile contraddittorio. Sino a che l’equivoco non è stato risolto con una torsione craxista all’ennesima potenza, cioè nel cesarismo pseudo-carismatico del pazzo di Rignano. Con un risultato quasi comico, quale si constata proprio con la caduta definitiva di Renzi, oggi universalmente inviso e sulla via dell’esilio verso gli emirati arabi, come già Hammamet fu il destino di Craxi contumace. Oggi le correnti del Pd non hanno alcuna connotazione ideale-programmatica nè alcun radicamento sociale. Se la funzione è sempre la stessa (suddividere il potere) la loro identità si definisce esclusivamente per rapporto al renzismo. Cioè per la posizione detenuta in passato rispetto a un individuo rovinoso e negletto, oggi defunto e in via di inumazione nella merda. Quelli che al renzismo si opposero (blandamente e in piccola schiera), quelli che si acconciarono a Renzi per realpolitik (come ad esempio i franceschiniani-fassiniani), quelli che prima traccheggiarono e poi s’intrupparono entusiasti al suo seguito per poi ritrarsi a metà strada una volta iniziata la disgrazia (i martiniani), quelli che furono renziani sino al midollo, facendo parte persino del suo cerchio magico, e si sono emancipati all’ultimo secondo, e infine quelli che ancora son renziani, o meglio renziani di nuovo culto. Non essendo Renzi risorto. Un vero casino. Una las Vegas. Correnti post-renziane. Correnti di tipo nuovo, rassomiglianti piuttosto a una blasfema e un po’ ridicola diaspora protestante. Nel mentre la base militante s’è liquefatta. Anche a prescindere dal Covid. Le chiese sono vuote. Niente più credenti. Solo elettori (forse) spauriti e sconcertati. Letta ha una bella gatta da pelare. Altro che Conte.

Gheriglio e puntiglio

Noi, nel frattempo, siamo qui. Piccola nobile ciurma su un guscio di noce in balia della corrente. E talvolta incagliata in una gora. In fondo anche noi conviviamo con questa disgrazia: ci ha ri-creato Renzi. Ex negativo. Come è accaduto col governo Draghi. Sebbene in positivo (e per questo c’è una nemesi che chiederà il conto). D’Alema vorrebbe farne un partito di quadri. Chissà. Forse un partito-canoa, con la pagaia anzichè la corrente trifase come propulsione. Ma chi cazzo ha voglia e forza di remare? Cionondimeno la corrente del pensiero scorre dentro di noi, inesauribile. Primum phlosophare deinde vivere. Forse….

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