L’indispensabile ruolo dell’Amazzonia sul clima globale
Cultura e Società

L’indispensabile ruolo dell’Amazzonia sul clima globale

Il Bacino Amazzonico è al centro dell’attenzione di ricercatori e attivisti in tutto il mondo a causa degli impatti che il cambiamento climatico ha sullo stato e sulla biodiversità di questo complessissimo ecosistema. In particolare, l’attenzione dei climatologi è concentrata sul carbonio immagazzinato nella foresta pluviale e nel suolo, la cui permanenza nell’ecosistema è messa a rischio dagli effetti del cambiamento climatico e dalla massiva deforestazione osservata in questi ultimi anni.

In uno sforzo senza precedenti, un team internazionale di oltre 30 scienziati guidati da Kristofer Covey dello Skidmore College ha recentemente effettuato un’ampia analisi di vari processi della biofisica e della biogeochimica dell’Amazzonia. All’analisi supportata dalla National Geographic Society e pubblicata in Frontiers in Forests and Global Change hanno partecipato ricercatori di tutto il mondo, dal Brasile alla Svezia. Questa nuova ricerca propone un nuovo modo di vedere il complesso problema di come il cambiamento climatico sta influenzando il Bacino Amazzonico, offrendo una visione d’insieme del ruolo che l’Amazzonia ha nel clima globale. I ricercatori sono partiti dal bilancio dei vari gas serra (oltre alla CO2, ad esempio, il metano – CH4 e l’ossido di diazoto – N2O) e di altri componenti chimici come il carbonio nero e gli aerosol. Hanno poi tenuto conto della risposta dinamica di processi fisici e biologici come la traspirazione delle piante e il cambio di albedo della superficie terrestre dovuto alla deforestazione e alle attività estrattivi. Grazie a questa analisi multisettoriale, gli scienziati hanno evidenziato come per comprendere il ruolo che l’Amazzonia ha sul clima globale sia necessaria una visione olistica che comprende non solo la CO2, ma tutti gli elementi presi in esame da questa ricerca.

Da “carbon sinks” a “carbon sources”

La maggior parte degli studi effettuati finora si è infatti focalizzata sul comprendere il ciclo del carbonio a livello regionale, su come questo stia cambiando velocemente in Amazzonia e su come questo cambiamento possa avere dei potenziali impatti enormi a livello globale. Le foreste tropicali giocano infatti un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio, in quanto grazie alla respirazione delle piante forniscono il fondamentale servizio ecosistemico di catturare carbonio dall’atmosfera per immagazzinarlo nella loro biomassa e, successivamente, nel suolo. Questo processo, che rende le foreste tropicali un cosiddetto “carbon sink” (depositi di carbonio, in quanto immagazzinano più carbonio di quanto ne emettano) sta cambiando. Già nel 2015 un articolo fondamentale pubblicato da Roel Brienen dell’Università di Leeds e colleghi sulla rivista Nature metteva in luce come questo processo di immagazzinamento stesse rallentando. Nel 2020, invece, Wannes Hubau dell’Università di Ghent, Simon Lewis dell’Università di Leeds e colleghi parlarono in un articolo sempre su Nature della potenziale saturazione di questo importante processo di immagazzinamento di carbonio in Amazzonia. Il fatto che le foreste tropicali e l’Amazzonia in particolare stiano rallentando nel catturare carbonio dall’atmosfera ha importanti implicazioni a livello globale, in quanto significa che il loro ruolo di “cuscinetto” del cambiamento climatico, come ecosistema che assorbe parte delle nostre emissioni di gas serra, sta venendo meno. Un altro studio pubblicato quest’anno su Nature Climate Change da Nancy Harris del World Resources Institutes e colleghi evidenzia come alcune foreste tropicali già ora emettano più carbonio di quanto ne immagazzinino, trasformandosi di fatto da “carbon sinks” a “carbon sources”. Oltre agli effetti del riscaldamento globale sui processi biologici, chimici e fisici dell’ecosistema, infatti, interventi umani estremamente invasivi come la deforestazione massiva che l’Amazzonia sta subendo interferiscono pesantemente con l’assorbimento di carbonio.

Se l’Amazzonia riscalda il globo invece di raffreddarlo

Lo studio di Covey e del gruppo di scienziati coinvolti nell’articolo di Frontiers pone l’accento sul fatto che l’ecosistema terrestre con la più alta biodiversità del mondo non è “semplicemente” una pompa di CO2, e le sue relazioni col clima globale vanno ben al di là del puro ciclo del carbonio: “Quando si comincia a guardare a questi altri fattori accanto alla CO2, diventa molto difficile vedere come l’effetto netto complessivo dell’Amazzonia sul clima non sia davvero di un ulteriore riscaldamento del clima stesso” dichiara Covey a National Geographic. Questo è dovuto, riporta lo studio, al rilascio di grandi quantità di metano (potente gas serra) dal suolo umido dell’Amazzonia, e di altri gas serra “non-CO2”. Gli autori dello studio guidato da Covey hanno considerato a livello regionale l’impatto degli incendi forestali, del disboscamento e della deforestazione di milioni di ettari di foresta pluviale per la creazione di nuove aree da destinare all’agricoltura e all’allevamento, del riscaldamento della temperatura dell’aria e di altre perturbazioni come siccità e tempeste. Considerando tutti questi fenomeni nel loro insieme, risulta evidente come l’Amazzonia sia ormai diventata una regione che riscalda il globo, invece di raffreddarlo. In particolare, siccome si prevede che a causa della maggioranza delle azioni a livello regionale e locale (dalla continua deforestazione all’emissione di gas serra), il processo di immagazzinamento di carbonio dell’Amazzonia continuerà a rallentare, mentre le emissioni di gas serra dal Bacino continueranno ad aumentare. Gli autori prevedono dunque che il nuovo, pericoloso ruolo del Bacino Amazzonico come fonte di riscaldamento per il pianeta continuerà a rinforzarsi. Concentrarsi sulla sola CO2, infatti, può essere limitativo: l’assorbimento e le emissioni di anidride carbonica, infatti, non sono indipendenti dagli altri fattori in gioco nel bioma amazzonico. Molto rimane ancora da esplorare, in particolare le interazioni tra i vari processi studiati e riveduti dagli autori e la continua pressione antropogenica che i l’umanità sta ponendo su questo complesso e delicato bioma. Lo studio di Covey e dei suoi colleghi evidenzia come sia importante investire risorse ulteriori non solamente nello studio degli scambi di CO2 tra atmosfera e bioma, ma anche su flussi diversi, dal metano ad altri gas serra, fino ai flussi di umidità a scala regionale. In particolare, in Amazzonia la magnitudine di questi flussi finora troppo poco studiati a livello regionale, può avere un impatto sul clima globale simile o dello stesso ordine di grandezza degli scambi di anidride carbonica. E come tutti questi processi influenzino a loro volta l’Amazzonia e i suoi ecosistemi rimane ancora oggi una questione aperta.

Cosa succede se superiamo il punto di non ritorno?

In Amazzonia ci sono molti processi che giocano un ruolo importante nel bilancio biogeofisico del bioma, e il complessissimo sistema di interazioni tra questi processi sta cambiando continuamente e rapidamente a causa delle attività umane. Si rischia quindi di arrivare a un punto in cui l’intero bilancio del sistema potrebbe cambiare, raggiungendo a un cosiddetto “tipping point”, un punto di non ritorno dopo il quale cambierebbe l’intero ecosistema. Thomas Lovejoy, uno dei co-autori dello studio apparso su Frontiers, da anni avverte di quanto ci stiamo pericolosamente avvicinando a questo tipping point nella regione amazzonica. Nel 2018, in collaborazione con lo scienziato brasiliano Carlos Nobre, aveva pubblicato un editoriale su Science Advances in cui suggeriva che la regione aveva subito un degradamento di livello tale che anche modesti tassi di deforestazione nei prossimi anni potrebbero scatenare un effetto a catena che potrebbe portare a una transizione dalla foresta tropicale che conosciamo a una specie di savana boscosa. Deforestazione che in Amazzonia, a causa dell’irresponsabile politica del Presidente Bolsonaro, ha appena raggiunto il picco più alto degli ultimi 12 anni durante il 2020, facendoci dunque avvicinare sempre di più al punto di non ritorno previsto da Lovejoy e Nobre, e da altri scienziati prima di loro. Un altro studio apparso a novembre 2020 su Nature Communications evidenzia ancora una volta come la foresta pluviale stia cambiando a una velocità pericolosamente elevata, e che persino la composizione degli alberi nel bioma stia mutando a causa delle elevate temperature. Adriane Esquivel-Muelbert, ecologa brasiliana che lavora a Birmingham e prima autrice dello studio, intervistata da National Geographic, dice: “Siamo in una situazione critica in termini di cambiamento climatico. Se continuiamo a fare errori con la gestione della foresta amazzonica, le emissioni di anidride carbonica aumenteranno enormemente, al punto che le persone in tutto il mondo ne soffriranno”.

Siamo tutti responsabili

In altre parole, ciò che succede in Amazzonia ha conseguenze fondamentali in tutto il mondo e cambiare come stiamo sfruttando le foreste globali è di primaria importanza non solo per le popolazioni che vivono nelle foreste tropicali o al confine con esse, ma per tutti noi. E non è nemmeno una responsabilità dei soli governi locali: nazioni come Brasile o Indonesia (altro Paese con altissimi tassi di deforestazione nelle sue foreste tropicali) sono spesso indicate come i principali responsabili della tragedia biologica che stiamo osservando. Le cause di questi eventi, però, sono da ricercarsi anche nei metodi di agricoltura insostenibili necessari a esportare grandi quantità di prodotti (legno, prodotti agricoli, e soprattutto carne) a basso per i mercati europei e nordamericani. La maggior parte della deforestazione in Brasile, infatti, è direttamente collegato all’industria della carne (80%, secondo un rapporto della FAO del 2016). Come elettori e consumatori, noi tutti abbiamo la grande responsabilità di guidare il cambiamento necessario perché l’Amazzonia non raggiunga il tipping point annunciato da Lovejoy e Nobre e da tanti altri scienziati in tutto il mondo.

Fonte: https://www.ecologica.online/2021/03/18/al-di-la-della-co2/?fbclid=IwAR0DLZg5sCN0gAg7I-JWB_sRuaj_hqsIH4R-xv7bGmqh1uKCJKWqEyi7JWc

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