Le Ardite del popolo: Le donne che con bastoni, forconi e rivoltelle sfidarono le camicie nere
Negli ultimi anni si è parlato molto degli Arditi del Popolo, l’organizzazione fondata da Argo Secondari che raccoglieva reduci di guerra e militanti antifascisti decisi a opporsi con ogni mezzo allo squadrismo delle camicie nere nei primi anni ‘20. Meno nota è la partecipazione femminile a questa importante esperienza e più in generale alla lotta contro gli esordi del fascismo.
Già dal primo dopoguerra si segnala a Trieste un gruppo di donne note agli organi di pubblica sicurezza come Ardite Rosse, collaterale all’omonimo raggruppamento maschile e forse coordinato da Aurelia Benco, nota col soprannome di Frombolo a causa della sua indole indomita e fiera. A questa formazione si sarebbero poi aggiunti altri gruppi, più o meno numerosi, di donne che anche senza essere formalmente inquadrate avrebbero partecipato agli scontri con le camicie nere tra il 1919 e il 1921. Prova ne sono le trentacinque donne assassinate dagli squadristi in quegli anni, a partire da Teresa Galli, giovane operaia ammazzata a Milano il 15 aprile 1919.
Oltre a essere vittime della violenza squadrista le donne delle classi popolari seppero anche colpire duramente le camicie nere. Come a Bologna, quando presero a bastonate e misero in fuga in almeno due episodi alcuni fascisti. Oppure come a Foiano della Chiana, dove Luisa Bracciali prese a forconate uno squadrista, atto per cui sarà poi ammazzata. O ancora a San Vincenzo, dove Anita Ristori difese strenuamente la bandiera della Lega Femminile durante una spedizione punitiva fascista.
I resoconti degli scontri avvenuti in numerose città tra fascisti antifascisti riportano la presenza di donne nei luoghi della battaglia, tra cui Sarzana, Firenze, Empoli, Livorno, Parma, Roma, Novara, Civitavecchia. Talvolta le cronache raccontano perfino di ardite armate di revolver oltreché dei sempre presenti sanpietrini.
Furono le stesse camicie nere a parlare di “ossesse”, “arpie”, “megere abbruttite nel vizio e nell’alcool”, “prostitute”. Un linguaggio volgare e sessista che tuttavia dimostrava chiaramente come per i fascisti le donne militanti rappresentassero un nemico sulla strada verso il potere. Tant’è che nel 1922 alcuni dirigenti del fascismo livornese affermeranno: “il sesso femminile del basso ceto è quanto di peggiore si possa immaginare, per l’odio sempre nutrito contro le classi sociali più elevate, e quindi contro tutto ciò che abbia sapore o parvenza di borghesia, vedi quindi fascisti”.
Il tema delle ardite è ancora da approfondire, quello che abbiamo riportato in questo post è tratto dall’ottimo libro di Marco Rossi “Arditi non gendarmi”, che trovate qui: https://bit.ly/3tlSq5Z
Fonte: Cannibali e Re