Il Canto di Natale e l’utopia di Charles Dickens
Dopo anni e anni, cosa abbiamo imparato dall’utopia di Dickens?
Il 19 dicembre 1843, Charles Dickens, pubblicava uno delle sue opere più celebri, “A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas”, noto anche come il Canto di Natale; un romanzo breve di genere fantastico, tra i più belli della serie dei “Libri di Natale”.
Il racconto noto ormai a tutte le generazioni, è una pietra miliare della nostra eredità culturale, divenuto da subito fonte di ispirazione, per numerosi film e spettacoli teatrali che si sono susseguiti, per più di un secolo.
Una domanda però sorge spontanea: quant’è sostanzialmente cambiata la società descritta da Dickens? ma soprattutto, abbiamo appreso mai qualcosa del messaggio lasciatoci dall’autore?
il Canto di Natale di Topolino
Ogni risposta potrebbe suonare come scontata o superficiale, perciò ripartiamo dall’autentica critica e denuncia lanciata da Dickens nel lontano 1843, traendone le nostre modeste considerazioni. Il romanzo è una chiara denuncia alla povertà e alla condizione di sottosviluppo che affligge determinati ceti sociali, situazione migliorabile solo mediante un diffuso spirito solidaristico, che ci spinge a comprendere e far nostro il dolore altrui; la conversione del vecchio e tirchio Ebenezer Scrooge, visitato nella notte di Natale da tre spiriti (il Natale del passato, del presente e del futuro), preceduti da un’ammonizione dello spettro del defunto amico e collega Jacob Marley, è la traduzione concreta del messaggio di solidarietà sociale che l’autore vuole trasmettere al mondo.
Un messaggio che però oggi non colpisce, antico forse, non più adeguato per una società predisposta alla, militarizzazione e alla violenza, priva di manifestazioni di solidarietà; un mondo troppo disciplinato, per essere davvero libero, in cui l’ordine prevale sull’armonia.