Gilgamesh e Battiato…( di Paolo Brogi)
Cultura e Società

Gilgamesh e Battiato…( di Paolo Brogi)

GILGAMESH E BATTIATO

di Paolo Brogi

Il professor Giovanni Pettinato era stato chiamato in Iraq dai beni culturali perché era stato ritrovato un fondo notevole di tavolette in argilla solcate dai caratteri cuneiformi. Riguardavano Gilgamesh.
Al suo ritorno il filologo, uno che sapeva leggere il sanscrito, l’aramaico, l’ittita, l’hurrita, l’elamita, l’accadico e i caratteri cuneiformi più in generale di parecchie lingue ecc ecc, aveva riportato un gran regalo, finalmente era riemersa la fine di Gilgamesh che nel testo conservato al British Museum si concludeva finora con l’eroe che superava le colonne d’Ercole del Mediterraneo per perdersi chissà dove…
Niente di tutto ciò. Alla sua morte l’eroe invincibile era stato sepolto con tutta la sua corte, a uso e costume mesopotamico ma già anche dei faraoni egizi.
Questo dicevano le tavolette.
La notizia era rimasta però chiusa sostanzialmente in ambito accademico.
Del resto questa epopea che risale a oltre quattromila anni fa e anticipa la Bibbia almeno di un millennio non è mai stata troppo apprezzata dal sapere occidentale cristiano-centrico. Un testo intrigante assai quello di Gilgamesh, eroe semidio (è figlio di una dea) che si misura con una lunga serie di combattimenti ed esperienze come quella di affrontare il gigante da un solo occhio Humbaba e che scende agli Inferi e risorge, un semidio legatissimo a un altro compagno di avventure Enkidu. Un testo nel corso del quale si ha notizia anche di una inondazione universale e di tante altre cose destinate a far fortuna in acclamati testi successivi.
Insomma i poemi omerici e la Bibbia anticipati da questa opera sul re di Uruk.
D’altronde quello che fino alle tavolette di Pettinato si sapeva di Gilgamesh è dovuto all’inaspettata avventura di un viaggiatore inglese del primo ‘800 originariamente diretto a Ceylon e che durante il suo passaggio dalla Mesopotamia si era imbattuto in scavi archeologichi. Morale: il viaggiatore aveva fatto dietrofront ed era tornato a Londra per dare al Museo tutto quel potente ritrovamento di decine e decine di tavolette. C’erano voluti però quarant’anni perché un’equipe di studiosi le interpretasse svelando che si trattavano del favoloso testo di Gilgamesh. Un poema che finalmente poteva vedere la luce e porsi con grande autorevolezza alle origini del mondo moderno ben prima di altri conclamati testi epici od epico-religiosi.
Dopo aver appreso la novità straordinaria su Gilgamesh e la sua fine, telefonai a Franco Battiato. E gli comunicai la notizia che lui apprese con gioia. Battiato era stato da poco l’unico in Italia ad occuparsi dell’eroe mesopotamico e a dedicargli un’opera.
Proprio per la messa in scena del suo “Gilgamesh” l’avevo conosciuto e intervistato nei primi anni ’90 per l’Europeo dove allora lavoravo. L’incontro era avvenuto a Modena in un albergo piccolo piccolo dove era alloggiato Battiato. Arrivò all’appuntamento infilato in un lungo cappotto verde scuro di tipo militare col bavero in pelliccia, un indumento che aveva trovato chissà dove, non certo in Italia.
Gilgamesh era stato per lui la scoperta di un testo fondante della sapienza, un giacimento di miti, un vademecum che lo avrebbe sostenuto nelle sue escursioni nei territori mistici in cui si stava per avventurare sempre più.
Era stato, ricordo, uno strano incontro durato peraltro più del previsto e interrotto alla fine solo per andare a cena. Nulla a che vedere con un cantante o un cantautore: a Modena avevo avuto a che fare con un filologo e un candidato ad occuparsi di testi sempre più remoti e decisamente inusuali, alla Gurdjeff. Mi pare anche che Battiato non si tolse mai di dosso il suo bel cappottone verde scuro. Ne andava fiero

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