Gaetano Bresci: paladino degli oppressi
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Gaetano Bresci: paladino degli oppressi

Il 29 luglio del 1900, l’anarchico individualista Gaetano Bresci uccise Umberto I re d’Italia. Le motivazioni per l’estremo gesto sono riconducibili alla soppressione violenta  di alcune manifestazione di protesta dei lavoratori italiani.

Nel 1898 in occasione dei gravi tumulti dei Moti di Milano,  un enorme folla di lavoratori scese in piazza per protestare sulle precarie condizioni di lavoro e sull’esoso aumento del prezzo del pane; la crescente mole della protesta e la notizia di alcuni scontri con la polizia e i militari indussero il governo guidato da Antonio Di Rudinì a dichiarare lo stato d’assedio conferendo pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris, e in qualità di regio commissario straordinario, gli fu affidato il compito del ristabilimento dell’ordine.

“il feroce monarchico Bava” cosi descritto in un brano del canzoniere popolare italiano, agì duramente fin dall’inizio per soffocare ogni possibile forma di protesta;  l’utilizzo indiscriminato delle armi da fuoco e, in particolare, di cannoni all’interno della città portarono  certamente il risultato desiderato, ma al prezzo di numerose vittime, spesso semplici astanti, tra cui donne e bambini. I «cannoni di Bava Beccaris» passarono alla storia come simbolo di un’insensata e sanguinosa repressione, provocando centinaia di vittime e un numero altissimo di feriti; In segno di riconoscimento del cruento ma efficace eccidio,  Bava Beccaris fu insignito del titolo di grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia dal re Umberto I e nominato al senatore del Regno,  aderendo al gruppo della Destra  storica.

In quel periodo Gaetano Bresci si trovava negli Stati Uniti a Paterson (New Jersey) lavorava nell’industria tessile come decoratore in seta nello stabilimento Hamil and Booth, frequentando la comunità anarchica di emigrati italiani in qualità di membro del circolo “Società per il diritto all’esistenza”. Bresci, si legò ben presto ad una donna irlandese Sophie Knieland, dalla quale ebbe due figlie, Maddalena e Gaetanina]; quest’ultima sarà anche lei anarchica convinta, e dopo la morte del padre continuò le lotte per una vita migliore degli operai di Paterson.

Gaetano Bresci

Alla notizia del cruento eccidio di Milano,in Gaetano Bresci maturò la consapevolezza che serviva necessariamente  un’ azione significativa, una risposta concreta all’oppressione e alla violenza; pensiero e volontà si trasformarono in azione. Il 17 maggio salpo da New York alla volta dell’Italia con una rivoltella Harrington e Richardson a 5 colpi e la sera del 29 dello stesso mese, a Monza  intorno alle 22.00, esplose quattro colpi contro il sovrano Umberto I che stava rientrando a bordo della sua carrozza; si lascio catturare subito dal maresciallo dei carabiniere Andrea Braggio, pronunciando le seguenti parole «Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio».

 

Gaetano Bresci, difeso da Francesco Merlino dopo il rifiuto di Filippo Turati, al quale fu caldamente “sconsigliata” tale difesa,  fu processato e condannato all’ergastolo con l’accusa di regicidio; Merlino aveva tentato di ottenere una pena bassa al processo, giustificando il gesto di Bresci come “violenza privata contro la violenza dello Stato”. Il 22 maggio l’unica matricola della Regia Casa di pena  di Santo Stefano;  alle ore 14:55 il secondino Barbieri, che aveva l’incarico di sorvegliare a vista l’ergastolano, ma che si era allontanato per alcuni minuti, scoprì il corpo di Bresci, ormai cadavere, penzolare dall’inferriata alla quale il recluso si era appeso per il collo mediante l’asciugamano in dotazione o, secondo altri, un lenzuolo. Accorsero sia il direttore del carcere, cavalier Cecinelli, sia il medico, ma soltanto per constatare il decesso. Bresci non aveva dato segni di depressione, né di volontà suicide, nei giorni precedenti.[Le circostanze della sua morte destarono subito perplessità. Voci circolate da cella a cella, e presto uscite dal penitenziario, avvalorano un’ipotesi alternativa, quella che Sandro Pertini descrive come un trattamento chiamato “fare il Santa Antonio”, con lo scopo di punire violentemente i riottosi , pratica che spesso si rivelava mortale; lo stesso Pertini sostenne, nell’aula dell’Assemblea Costituente (nel 1947), che Bresci era stato ucciso in questo modo.

La vicenda Bresci, scosse l’opinione pubblica internazionale, che si divise su varie posizioni, alcune concordanti altre meno.  A mio modesto parare la più adatta nella comprensione dell’ avvenimento è sicuramente quella di Lev Tolstoj, anarchico e cristiano,  fermo assertore della pace e della nonviolenza, che non approvo il gesto in sé , ma ne comprese le motivazioni:

«Se Alessandro di Russia, se Umberto non hanno meritato la morte, assai meno l’hanno meritata le migliaia di caduti di Plevna o in terra d’Abissinia. Sono terribili tali uccisioni non per la loro crudeltà o ingiustizia ma per l’irragionevolezza di coloro che le compiono. Se gli uccisori di re sono spinti a essere tali da un sentimento personale di indignazione suscitato dalle sofferenze del popolo in schiavitù di cui appaiono loro responsabili Alessandro, Carnot,  Umberto o da un sentimento personale di offesa e vendetta, allora tali azioni per quanto ingiuste appaiono comprensibili.»

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