Politica

Fascismo e Bonapartismo: Alle origini della leadership reazionaria

Un’analisi sulla figura di Mussolini è del tutto necessaria a comprendere la natura del fenomeno fascista e la sua evoluzione nel sistema di dominio del paese, in quanto la personalità carismatica del duce ha fornito un sostanziale contributo alla causa fascista.

 L’adulazione mistica intorno al leader fascista è merito solo della sua spiccata propensione al comando, sostenuta da un notevole  bagaglio culturale grazie al quale ha elaborato una produzione  concettuale che ha circoscritto i connotati essenziali del suo movimento,  da definirlo “mussolinismo” ?, o è il risultato di un lavoro di  costruzione ideologica da parte dell’ èlites dominanti, e anche quindi del partito fascista,  di una figura mistica, inattaccabile, che si erge al di sopra delle dinamiche politico-economiche, e allo stesso tempo ne è parte integrante fungendo da faro guida delle masse popolari, ma che ad un certo punto rimane estraneo alle  dinamiche   di potere risultando essere solo un elemento di integrità nazionale?

Situare il ruolo e la funzione del leader  all’interno di un sistema di governo fascista e una faccenda meno semplice e lineare di quanto possa a primo impatto apparire; ed è anzi diventato un problema di  dibattito internazionale che vede variate concettualizzazioni teoriche confrontarsi su alcuni elementi specifici e particolari;  tenendo presente l’enorme contributo  dato da ognuna di queste teorie, vorrei prendere in considerazioni gl’interrogativi  da me sopra citati, e esaminarli non come due possibilità indipendenti o contrarie,  ma come la propedeutica  elaborazione del bonapartismo marxiano che si realizza congruamente nel lavoro d’analisi sviluppato da Kershaw sulla figura del “dittatore debole”.

In relazione a tali interrogativi, nella costruzione del potere fascista è innegabile la spiccata inclinazione carismatica del duce e la sua capacità strategica nel tessere alleanze costruttive, ma questo sicuramente non è risultato del lavoro di una singola entità egemone, piuttosto il connubio perfetto, con una pluralità di soggetti di potere. Un importate contributo per la comprensione dell’apogeo della figura di Mussolini, può essere estrapolato dagli scritti di Karl Marx sul bonapartismo, e in particolare dal Diciottesimo brumaio di Luigi Bonaparte, in cui l’autore, partendo dai rapporti di forza tra le classi e dai loro riflessi in politica , cerca di capire come si siano create le condizioni che hanno permesse il colpo  di stato del 2 Dicembre 1851 in Francia, quando Luigi Bonaparte mise fine alla breve esperienza  della terza repubblica francese.  Marx, nel tentativo di mettere alla prova degli avvenimenti storici la dialettica materialista, esamina i passaggi cha hanno causato il golpe bonapartista; la crisi economica che nel 1847 aveva scosso le basi del sistema economico europeo, con ripercussioni socio-politiche in tutto il continente e in particolare in Francia, custode della tradizione rivoluzionaria,  dove il cosiddetto “movimento dei banchetti “ sfociò nel Febbraio del 48’ nella terza rivoluzione francese e nella proclamazione della Repubblica. Ma i tentativi  del proletariato, di rendere concreti i contenuti della rivoluzione, furono resi vani dalla sostanziale riluttanza( o timore) di quella  piccola borghesia, che era stata parte integrante della rivoluzione di febbraio,  determinando la grande insurrezione di Giugno, repressa drasticamente nel sangue; da quel momento, fino al  due dicembre del 1851 si mise in moto un lento processo di degenerazione  dei contenuti ideologici della sommossa, in quanto le istanze rivoluzionarie del proletariato si scontrarono inevitabilmente con la predisposizione conservatrice della borghesia, intenta per lo più a ristabilire l’assetto e l’ordine generato dai conflitti intestini della classe dominante.

La repressione  violenta del proletariato rivoluzionario evidenzia la volontà borghese di tutelare il sistema di potere ereditato dalla monarchia assoluta,  ovvero un organizzazione prettamente elitistica e classista, accentuata dall’imponente sviluppo capitalistico, che esplica il suo dominio attraverso una strutturata burocrazia e un esercito permanente; ed è in quest’ottica di dominio, che il controllo delle masse diventa fondamentale, soprattutto nei momenti di conflittualità sociale,  urge la presenza di una figura capace di garantire la cristallizzazione dello status quo, anche attraverso un presa di potere autoritaria.

Il golpe bonapartista è il risultato della reciproca neutralizzazione delle classi sociali nella lotta per il potere, permettendo a Luigi Bonaparte, sostenuto dal Lumpenproletariate dalla massa dei piccoli contadini apolitici, di fare dell’autorità esecutiva dello Stato un potere relativamente indipendente;(Kershaw 1995)in tale prospettiva i governi fascisti  assumono valore e credibilità.

“ In quest’ottica i fascismi vengono letti come il frutto dell’acutizzarsi del conflitto sociale(lotta di classe) in un quadro dove nessuna delle classi che si confrontano è in grado di imporre in modo stabile la propria egemonia; ciò rende possibile un certo qual autonomizzarsi dell’apparato dello Stato che si fa carico di organizzare(irreggimentare) una società non i grado di darsi un assetto stabile. È  una lettura che ha punti di convergenza con l’ipotesi togliattiana del fascismo regime reazionario di massa, cogliendone anch’essa il carattere moderno(Mantelli, I fascismi europei, pag.136).”

Dunque è innegabile che vi siano sostanziali tratti comuni tra il bonapartismo e il fascismo,  tra Mussolini e Luigi Bonaparte, rinvenibili soprattutto in determinati obiettivi strategici: il processo di costruzione del sistema di potere appare molto similare, l’indipendenza del potere esecutivo, l’ assoggettamento politico di tutte le masse accompagnato dal dominio sociale della grande borghesia e della proprietà terriera; anche l’apparato di dominio e presenta caratteristiche comuni, cosi scrive August Thalheimer nel saggio UberdenFaschismus  del 1930:

il partito fascista è il riscontro della Banda di dicembre di Luigi Bonaparte; la sua composizione sociale consiste di elementi squalificati in tutte le classi sociali della nobiltà, della borghesia, della piccola borghesia cittadina, dei contadini e degli operai[…..]L’affinità si estende anche alle forze armate. La milizia fascista è dal punto di vista sociale, l’equivalente dell’esercito bonapartista, e al pari di esso fonte di sostentamento per elementi declassati.”(Mantelli, I Fascismi europei, da De Felice pag. 286-88)

il Bonaparte marxiano  e il leader fascista, al di là delle loro capacità personali,  sono figure costruite dall’ élite egemone per tutelarsi da  eventuali fratture,  determinate dalla conflittualità sociale,  che potrebbero destrutturare  il sistema di dominio prestabilito;  dunque il leader pur godendo di un notevole spazio decisionale, detiene effettivamente una capacità di esercizio “sostanziale” del potere  che appare  molto circoscritta, in quanto cogestita con altri centri decisionali che ne rivendicano la naturale influenza; inoltre il controllo dell’apparato di dominio, burocrazia e milizie, e sostanzialmente molto superficiale, i ras di quartiere, come anche alti membri della burocrazia del partito agiscono con una evidente indipendenza, questo sottolinea come le teorie che definiscono il fascismo come un “mussolinismo” , o il nazionalsocialismo  “hitlerismo” , presentino evidenti  lacune concettuali. Dunque l’apogeo della divinizzazione del Duce, la visione mistica che ancora oggi affascina uomini  e personalità politiche di tutto il mondo, potrebbe semplicemente essere il  risultato di un lavoro essenzialmente pubblicistico utilizzato come fattore di autotutela dell’elitè di dominio per sedare eventuali malcontenti popolari.

Il contributo dell’approccio bonapartista ci fa comprendere meglio la prospettiva d’analisi del “dittatore debole”, perché da una spiegazione teorica  sulla formazione dell’ oligarchia di dominio, quindi la coesistenza di più centri di dominio, dove la funzione sostanziale del  Bonaparte, in un determinato momento, è relegata a icona di integrità nazionale,; “il principe del popolo”, la cui mistica impeccabilità costituisce l’ancora di salvataggio del sistema dominante nei periodi di crisi e instabilità, scrive cosi Kershaw nella sua prospettiva d’analisi sulla figura di Hitler: un esame del potere di Hitler-della questione se egli vada visto come padrone del Terzo Reich o come un dittatore debole- deve forzatamente prendere le mosse da una qualche idea di come possano intendersi la sua forza o la sua debolezza entro la globale costellazione di potere del Terzo Reich. Sembra lecito distinguere almeno tre categorie:

  • Si può sostenere che Hitler era debole nel senso che rifuggiva regolarmente dal prendere decisioni, e che era costretto,  a questo comportamento per proteggere la sua immagine e il suo prestigio personale, i quali esigevano che il Fuhrer rimanesse estraneo dalla politica delle fazioni, e non venisse associato con decisioni sbagliate o impopolari. Ciò significherebbe che il caos delle tendenze centrifughe osservabili nel Terzo Reich era strutturalmente condizionato, ossia non era semplicemente, né principalmente, una conseguenza delle predilezioni ideologiche o personali di Hitler, o di una strategia machiavellica del divide et impera.
  • Se si potesse dimostrare che le decisioni di Hitler venivano ignorate, o annacquate , o in altra maniera non erano attuate correttamente da i suoi subordinati, sarebbe lecito giudicarlo debole.
  • Si può affermare che Hitler era debole  nel senso che la sua capacità d’azione , il suo margine di manovra era condizionato e limitato da fattori posti fuori dal suo controllo e tuttavia immanenti al sistema, come le esigenze dell’economia o il timore di disordini sociali.”(Kershaw, che cos’è il nazismo, pag 105)

L’analisi di Kershaw , che cerca di correlare queste categorie ad una valutazione sul potere di dominio del fuhrer , può essere comparata e assimilata per concludere l’analisi sulla figura di Mussolini, in quanto presenta congrue  analogie con l’effettiva realizzazione del potere del duce; la teoria bonapartista ci fa comprendere che la capacita di dominio del leader è tendenzialmente limitata dalla coesistenza con altri centri di potere, che però a loro volta, compiono un importante lavoro di mistificazione sociale su quella figura che dovrà rappresentare l’unità nazionale nei momenti più bui del regime. D’altro canto però sarebbe riduttivo considerare il potere del leader fascista come una semplice configurazione della volontà delle elite dominanti, dunque il confronto storico fra “intenzionalisti” , che inquadrano la costruzione del potere fascista nella personalizzazione delle intenzioni di dominio del leader, e “strutturalisti “, che relegano la leadership, per l’appunto, ad una struttura di dominio, si risolve  concretamente  nel concetto di Marx, qui ripreso da Mason:

“Gli uomini fanno la loro storia, ma non lo fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”(Mason in Kershaw, Che cos’è il nazismo, pag.120)

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