Dei delitti e delle pene: l’Italia e la lezione inascoltata di Cesare Beccaria
“Perché una pena ottenga il suo effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto.”
Lo Stato Italiano in base al dettato costituzionale dovrebbe garantire la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, da questo punto di vista va letto in chiave solidaristica l’Art. 27 della nostra Costituzione, laddove afferma che:
”Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”
La rieducazione è il fine ideale della pena, lo Stato, durante l’esecuzione della stessa, dovrebbe creare le condizioni necessarie affinché il condannato possa reinserirsi nella società in modo dignitoso mettendolo in condizioni, una volta libero, di non commettere nuovi reati. Tale finalità fu introdotta proprio per salvaguardare la dignità umana quale diritto fondamentale dell’uomo in quanto tale;
Ora noi ci chiediamo, ma è davvero così? Il nostro sistema penitenziario mira e garantisce davvero quanto la Costituzione statuisce.
“Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.”
La situazione delle carceri italiane non è rosea. Come dimostrano i numeri del rapporto dell’associazione Antigone che da vent’anni, autorizzata dal ministero della Giustizia, visita i 190 istituti di pena italiani. Un tasso di sovraffollamento al 115%, i detenuti che aumentano(6mila in più di due anni fa) mentre i reati diminuiscono e una recidiva che dice che quasi il 40 per cento di coloro che sono usciti dieci anni fa, sono finiti di nuovo in carcere. Una situazione disastrosa, dalle celle senza doccia, alle ristrutturazioni infinite, fino agli istituti in cui i corsi di formazione sono inesistenti. Nel 43 per cento dei penitenziari al momento della visita non c’erano corsi di formazione professionale attivi e in uno su 3 non c’erano spazi per le lavorazioni. Solo un detenuto su 5 va a scuola in carcere. Il tasso di occupazione è del 30 per cento e appena l’1,7 per cento dei detenuti lavora dentro gli istituti per datori di lavoro diversi dall’amministrazione penitenziaria. In alcune celle i detenuti non hanno a disposizione tre metri quadrati calpestabili, in cinquanta c’erano celle senza doccia e in quattro il wc non era in un ambiente separato dal resto della cella. Nelle 86 carceri visitate dall’Associazione Antigone in media esiste un educatore ogni 76 detenuti e un agente ogni 1,7 detenuti. Un’indagine da cui si evince, tra l’altro, che non c’è un’emergenza stranieri, perché non c’è correlazione tra i flussi di migranti in arrivo in Italia e quelli di migranti che fanno ingresso in carcere. I numeri dicono, anche, che quello degli stranieri sempre più numerosi nelle carceri italiane è una fake news. Negli ultimi quindici anni, a partire dal 2003, mentre gli stranieri residenti sono più che triplicati, il tasso di detenzione di stranieri si è ridotta di quasi tre volte. Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti in Italia (erano circa 1 milione e mezzo) l’1,16 per cento finiva in carcere, oggi (che sono circa 5 milioni) è lo 0,39. Rispetto al 2008 ci sono 2mila detenuti stranieri in meno. Più allarmante il dato riguardante i suicidi, 52 quelli del 2017 (sette in più rispetto al 2016), 11 nei primi tre mesi del 2018. L’Italia è tra i primi paesi in Europa per tasso di detenuti in custodia cautelare. Nel 2017 i detenuti ancora in attesa di sentenza definitiva (dunque innocenti fino a prova contraria) erano il 34,4 per cento, mentre la media europea è del 22. Chi esce dal carcere, invece, troppo spesso ci ritorna. È accaduto al 39 per cento dei detenuti tornati liberi nel 2007: sono tornati dietro le sbarre una o più volte negli ultimi dieci anni.
Altra importante criticità, che da molti addetti ai lavori viene spesso trascurata, riguarda l’effettiva capacità del condannato di reinserirsi pienamente nella società dopo aver espiato la condanna. Alle nostre latitudini, ciò è ancora più rilevante, vista la presenza pervasiva della criminalità organizzata. Il condannato, infatti, una volta espiata la pena deve subire una gogna sociale in quanto il reato commesso non sarà mai più cancellabile dal casellario giudiziario, la quale iscrizione rimarrà praticamente a vita (si cancella compiuti gli 80 anni). Il condannato avrà problemi a partecipare ad un concorso pubblico, ad accedere a finanziamenti europei, nazionali e regionali, sarà quasi impossibilitato a partecipare attivamente alla vita politica e sociale della propria comunità, l’unica scelta che può intraprendere è quella di vivere, seppur nell’alveo della legalità, ai margini di tutto. Proprio questa situazione di limbo, in cui viene dimenticato il condannato, crea un terreno fertile per la formazione di un bacino di manovalanza permanente dal quale le mafie hanno possibilità di attingere nuove risorse. Solo in parte gli effetti post-pena appena descritti possono essere mitigati dagli istituti della non-menzione sul Casellario Giudiziario richiesto dai privati e dall’Istituto della Riabilitazione, il quale estingue le pene accessorie del reato a seguito della provata buona condotta del condannato ma non cancella l’iscrizione nel Casellario Giudiziario.
Per concludere, da quanto descritto in precedenza la funzione rieducativa del condannato, come costituzionalmente sancito, rimane per il momento molto deficitaria, il sistema penitenziario italiano resta un sistema in cui è predominante la funziona oppressiva anziché quella rieducativa. Il condannato in carcere è vessato, come abbiamo visto, dal sovraffollamento e da condizioni igienico sanitarie al limite, i progetti scolastici e lavorativi efficienti sono presenti in poche virtuose realtà del tutto non rappresentative del panorama carcerario italiano, tutto ciò aumenta la tendenza alla recidività minando la sicurezza dei cittadini. Per cui possiamo affermare che il combinato disposto dalla carenze umane e materiali del sistema penitenziario italiano aggiunto alla gogna sociale vissuta nel fase post-espiazione della pena, non creano le condizioni per un pieno recupero umano e sociale del condannato.
“Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.” Cesare Beccaria