Coronavirus: la rinascita degli Stati
L’emergenza sanitaria del coronavirus si è estesa diventando una pandemia. Il covid-19 è ora un attore globale che sta interferendo con la vita di tutti gli individui: rapporti sociali, lavoro, rapporti economici, diplomazia, giustizia, svago, amore, sesso, soddisfacimento dei bisogni primari. In tutti questi ambiti c’è una trasformazione della prassi, l’ordine delle cose muta, necessariamente il mutamento si sta ripercuotendo sullo spazio politico modificandone i rapporti. La destrutturazione delle relazioni tra gli spazi delle società umane ha avuto come effetto la ristrutturazione dei rapporti politici tra Stati, mercati, organismi internazionali e sovranazionali. Il tratto comune più evidente della situazione attuale è il massiccio impiego dello Stato nel gestire il problema.
Ciò può ovviamente portare a due considerazioni, una conseguenza dell’altra: la società civile, nella sua organicità tutta, non ha i mezzi di coordinamento e le risorse che possiede uno Stato; lo Stato non può essere minimo, e se non lo è mai stato, comunque, non deve tendere ad esserlo.
Proviamo ora ad immaginare cosa sarebbe successo in un contesto dove ci fossero le stesse condizioni di quelle di oggi eccetto quella di un’autorità pubblica sovrana: il caos. Corsa alla sopravvivenza, ospedali affollati, razzie, contagi di paesi interi, guerra civile. Si noti bene che con questo ragionamento non stiamo affermando che l’autorità debba per forza essere oppressiva o debba ledere alle libertà individuali, ma di certo lo Stato non può essere ridotto all’osso e richiamato soltanto in casi di emergenza, perché una volta davanti la sfida non si troverebbe pronto.
Il rischio però del rafforzamento dello Stato, processo che probabilmente avverrà se tutto non andrà in rovina, è quello di creare regimi che non riescano più a fare a meno della presa autoritaria sulla società civile per risolvere le questioni interne ed esterne; bisogna affrontare la pandemia con il giusto mezzo, forte se necessario, accompagnando l’intervento del potere con il dialogo tra poteri non dimenticando che una dissoluzione di tutto quello che abbiamo creato porterebbe ad una esacerbazione dei conflitti latenti che l’individuo, meglio di uno Stato, sa affrontare con la sua libertà di agire.
Prendiamo ad esempio l’Europa. Dopo la giravolta della BCE e qualche altro errore di percorso, sembra che l’Unione Europea stia rispondendo finalmente all’emergenza cercando di dimostrarsi all’altezza dei tempi; ahimè sembra che ci sia più una rincorsa ai paesi membri che un piano ben definito e protocollato da parte dell’UE. Le ragioni ci sono, per esempio il controllo statale del sistema sanitario, quello delle forze dell’ordine e dei confini interni. Sopravvivere senza Europa al coronavirus significa far si che l’Europa non sopravviva.
Immaginare gli stati in un sistema internazionale privo di istituzioni sovranazionali potrebbe compromettere la libertà degli individui che, abituati ad un mondo globalizzato, si troverebbero in un pianeta chiuso nuovamente tra confini; fisici e ideali.
Ovviamente auspichiamo non accada. Resta a casa ma dopo, quando tutto finisce, esci!