Come sta il clima in Italia? Il nuovo rapporto Ispra sugli indicatori climatici
L’emergenza climatica tra G20 e Cop26
Si è da poco conclusa la Cop26 che, sulla scia di quanto accaduto già con il vertice italiano del G20, ha lasciato l’amaro in bocca a chiunque sperasse in azioni concrete per ridurre il riscaldamento climatico e provare ad arginare le conseguenze che il nostro Pianeta e, tutte le specie che lo abitano, stanno subendo.
Nonostante la crisi del clima sia sotto gli occhi di tutti e sempre più persone acquisiscono consapevolezza della necessità di agire a più livelli e su scala globale, ciò non basta a costringere i governi a stabilire decisioni vincolanti per garantire una maggiore stabilità climatica.
Sono tanti gli studi che mostrano quali potrebbero essere le azioni da intraprendere per favorire una transizione ecologica efficace che tuteli soprattutto le popolazioni e le specie maggiormente esposte alle conseguenze dell’aumento della temperatura. Sono altrettanti i dossier che denunciano come l’azione antropica stia accelerando la distruzione del Pianeta e fotografano gli scenari che ogni singolo Stato sarà costretto a fronteggiare, dal breve al lungo periodo, data la scarsa rilevanza attribuita alla questione climatica, ad ogni latitudine.
Uno sguardo all’Italia: il report Ispra sugli indicatori climatici
Secondo lo State of Climate il 2020 è stato un anno drammatico per l’innalzamento del livello del mare e la concentrazione di gas serra, sia a livello globale che per l’Italia. Dal XVI Rapporto su Gli indicatori del clima in Italia nel 2020 dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA, la fotografia della situazione è allarmante.
Nonostante i continui appelli alla riduzione dei combustibili fossili e delle emissioni di gas climalteranti e alla necessità di avviare azioni precise volte al contrasto dell’instabilità climatica, i Paesi del G20 non sembrano interessarsi granché alla questione. Tra questi anche l’Italia che, come sottolineato dal rapporto ISPRA, ha trascorso un 2020 prevalentemente caldo, con “condizioni di siccità estese a tutto il territorio nazionale nei primi mesi dell’anno”. Non sono mancati nel nostro Paese eventi metereologici di grande intensità, come piogge alluvionali che hanno causato grandi piene e forte vento con intensità variabile tra burrasca, tempesta e uragano. Guardando poi agli 8000 km di costa, mareggiate estese ed intense hanno colpito gran parte dei settori.
Alcuni dati su temperatura e precipitazioni
Il 2020, a livello globale, è stato uno dei tre anni più caldi dall’800 ai giorni nostri. Per l’Italia è stato il quinto anno più caldo dal 1961, con una temperatura che ha registrato un +1,54° C rispetto al valore climatologico di riferimento preso in considerazione, mentre in generale è stato il ventiquattresimo anno in cui si è registrato un’anomalia positiva rispetto ai valori medi, che ha interessato tutti i mesi dell’anno, eccezione fatta per ottobre. Particolarmente degni di attenzione i picchi registrati a febbraio con + 2,88° C e ad agosto con +2,49° C. La stagione che ha segnato un aumento di temperatura maggiore è stata l’inverno, con +2,36°C rispetto al valore di riferimento; possiamo infatti dimenticarci, soprattutto in determinate zone, i giorni di gelo o le notti fredde e dobbiamo abituarci a vivere sempre più giorni segnati da temperature estive e notti tropicali.
Anche la temperatura superficiale dei mari italiani ha registrato un incremento di + 0,95° C, in linea con le anomalie positive registrate negli ultimi ventidue anni.
Secondo lo studio di Italy for climate, l’Italia ha un triste primato a livello mondiale: mentre la temperatura globale dal 1880 ad oggi è aumentata di +1,1° C, sul nostro territorio l’aumento registrato è pari a +2,4° C, con circa 1300 eventi metereologici estremi censiti.
E proprio da uno sguardo alle precipitazioni si può capire il pericolo. Piove di meno in generale, con anomalie positive e negative distribuite in maniera difforme su tutto il territorio italiano. Il 2020 è stato il ventitreesimo anno meno piovoso dal 1961, con gennaio (-77%) e febbraio (- 75%) i mesi più secchi, mentre dicembre il mese con un aumento di precipitazioni pari al 109%.
Meno piogge ma più intense che causano gravi danni alla popolazione, anche a causa di un uso inappropriato e sconsiderato del suolo, oltre ai mancati ordinari interventi di manutenzione del territorio. Pescara è la città che ha registrato il maggior numero di giorni asciutti, pari a 341, ma la situazione è analoga in molte altre zone del nostro Paese, mentre l’indice CDD – Consecutive Dry Days, che rappresenta il numero massimo di giorni asciutti consecutivi, registra i valori più alti in Sicilia e Sardegna, pari a 90 giorni asciutti, mentre quelli più bassi lungo l’Appennino, Alpi e Prealpi, circa 20 giorni asciutti consecutivi.
L’impegno dell’Italia per la crisi climatica
Nonostante questi dati disegnino uno scenario allarmante, nei due meeting internazionali svoltisi tra la fine di ottobre e metà novembre, il G20 e la COP26, l’Italia non sembra aver mostrato un atteggiamento attento, frutto di una maggiore consapevolezza e responsabilità. E proprio in merito alle azioni da conseguire per ridurre gli impatti dell’instabilità climatica e procedere spedito verso quella transizione ecologica che prevedeva l’abbandono dei combustibili fossili e la riduzione di gas climalteranti entro il 2050, il nostro Paese si è dimostrato poco incisivo nelle misure adottate.
Un esempio per tutti: il BOGA. Una delle iniziative più interessanti della Cop26 di Glasgow è stata l’alleanza promossa da Danimarca e Costa Rica, denominata appunto BOGA – Beyond Oil and Gas Alliance. Questo patto prevedeva tre livelli di adesione: il primo come core members, ossia coloro i quali si impegnano a non dare più licenze, concessioni o leasing per l’esplorazione o la produzione di petrolio e gas, come Groenlandia, Quebec, Francia, Svezia, Irlanda e Galles; il secondo livello riguarda gli associate members, ossia quei Paesi che si impegnano a tagliare i sussidi e i finanziamenti pubblici per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas, sia all’estero che sul territorio nazionale, come California, Nuova Zelanda e Portogallo; da ultimo, il terzo livello, i friends, riservato a quei Paesi che si impegnano ad allineare la produzione di petrolio e gas con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e a sostenere una transizione globale socialmente giusta ed equa.
L’Italia è l’unico Paese ad essere entrato nel BOGA come friend.
Questo dice molto sull’atteggiamento del nostro Paese nei confronti della crisi del clima.
Intanto il 14 dicembre l’Italia sarà trascinata sul banco degli imputati per inerzia climatica da Giudizio Universale.