Cultura e Società

Ambiguità nei processi di emancipazione femminile all’interno della ’Ndrangheta

All’interno dell’organizzazione criminale le donne hanno sempre svolto compiti tradizionali, ritenuti di vitale importanza; dalla trasmissione del codice culturale mafioso all’incoraggiamento alla vendetta: alle madri spetta il dovere di inculcare nei figli i “valori” imprescindibili dell’omertà e del silenzio, quella “pedagogia della vendetta” concettualizzata da Renate Siebert,che evidenzia il continuo incitamento nei confronti dei figli a vendicare l’onore del padre ucciso; mentre alle mogli spetta non solo il ruolo di messaggere dei mariti detenuti in carcere ma anche quello di custodi dell’onore offeso.

La donna di un uomo d’onore è detentrice della memoria familiare, animata da una devozione senza limiti; colei che sa tutto ma che ufficialmente non parla e non sente. Tuttavia la figura della donna relegata alla sudditanza di un potere patriarcale, risulta uno stereotipo ormai superato; non senza ambiguità e contraddizioni molte donne di ‘ndrangheta si sono per così dire “emancipate” dal ruolo tradizionale, apportando il loro contributo attivo all’interno del clan. È nel corso degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso che emerge il ruolo criminale della donna, parallelamente al radicarsi del movimento femminista il quale, accrescendo la sensibilità verso i nuovi bisogni e le nuove consapevolezze femminili, riprodusse mutamenti significativi sulla società civile influendo su diversi campi: dall’istruzione, al mondo del lavoro ai costumi sociali.

 Da qui il cambiamento sostanziale del ruolo della donna, non solo all’interno della società civile, ma anche internamente alle gerarchie della “ Onorata Società”; da una posizione secondaria , relegata alla pedagogia e alla trasmissione dei codici culturali “‘ndranghetisti” ad una rilevante centralità in cui la donna detiene la gestione dell’organizzazione stessa, come ad esempio nel caso di Marisa Serraino, che prese le redini della famiglia quando la nonna Maria, nota come “mamma eroina” finì in galera, o Nella Serpa, reggente della cosca egemone a Paola, nel cosentino, e condannata al regime di massima sicurezza. Due profili questi che stanno ad indicare come siano notevolmente cambiate strutturalmente le gerarchie delle organizzazioni mafiose, che da organismo “primitivo” essenzialmente patriarcale si evolve in uno più moderno, in rottura con i codici tradizionali.

Contemporaneamente i dettami del movimento femminista hanno fatto emergere una coscienza di sé che ha lentamente trasformato le donne di ‘ndrangheta, socializzandole ed educandole al senso civico e alla legalità; figure come Lea Garofalo ad esempio rappresentano direttamente l’espressione di ribellione verso una società (quella ‘ndranghetista) già ordinariamente costituita, edificata su una falsa onorabilità violenta e discriminante.

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